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Profili giuridici della tecnologia Blockchain: un fenomeno distribuito. | Theledger

Profili giuridici della tecnologia Blockchain: un fenomeno distribuito.

La tecnologia Blockchain viene spesso associata alla sola funzione economica di scambio di criptovalute. Ci si occuperà qui della Blockchain per i suoi utilizzi non finanziari, quali la registrazione e conservazione imperitura di documenti, atti o fatti giuridicamente rilevanti e l’elaborazione di c.d. smart contracts, mediante lo sfruttamento della tecnologia d.l.t. o a registri distribuiti.

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Tempo di lettura: 22 minuti
  • Blockchain non è solo scambio di criptovalute, ma ha anche utilizzi non finanziari
  • Negli U.s.a. la disciplina della Blockchain è affidata ai singoli Stati per i suoi usi non finanziari
  • In Cina sono vietati gli scambi di criptovalute, ma per gli altri usi si cerca di creare una Blockchain mondiale gestita da loro stessi
  • In Europa la Blockchain non permette il riconoscimento della validità legale del documento informatico
  • In Italia il d.l. 14.12.2018, n. 135 dà le definizioni di Blockchain e di Smart Contracts rimettendo all’Agenzia per l’Italia Digitale l’elaborazione di standard tecnici, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto stesso
  • I 90 giorni sono passati gli standard non sono stati ancora elaborati

Introduzione

La tecnologia Blockchain viene spesso associata alla sola funzione economica di scambio di criptovalute.

Ci si occuperà qui della Blockchain per i suoi utilizzi non finanziari, quali la registrazione e conservazione imperitura di documenti, atti o fatti giuridicamente rilevanti e l’elaborazione di c.d. smart contracts, mediante lo sfruttamento della tecnologia d.l.t. o a registri distribuiti.

Grazie ad essa qualsiasi circostanza che determini la modifica del “libro mastro” o registro da parte di un utente in favore di un altro sarà oltre che irripudiabile, altresì, incontestabile.

L’utilizzo non finanziario della Blockchain è, pertanto, esteso alla capacità di rappresentazione informatica di atti, fatti o dati e della loro riconducibilità ad uno specifico soggetto. Essa, inoltre, può permettere la traduzione in software di un contratto stipulato tra due o più parti e assicurarne l’esatta e automatica esecuzione secondo il meccanismo informatico del “if…then”.

Ciò è possibile per il fatto che la Blockchain si avvale di tecniche crittografiche già diffusamente utilizzate in ambito civile; basti pensare alla firma digitale, di cui si parlerà più avanti.

Ancora, il funzionamento a registri distribuiti e la capacità di validazione temporale (c.d. timestamping) rendono quasi impossibile modificare i dati e incontestabile l’avvenuto inserimento in un dato momento nei registri distribuiti.

Premesso ciò, occorre chiedersi in quali settori potrebbe impiegarsi la Blockchain.

Questa garantisce sicurezza, immodificabilità e incontestabilità dell’informazione contenuta in un documento informatico.

Come affermato da autorevole dottrina «i documenti informatici costituiscono una componente essenziale dello sviluppo della società dell’informazione (…), essi intensificano la possibilità di scambi, soprattutto quelli transfrontalieri. Offrono inoltre una significativa opportunità di semplificazione e speditezza dell’attività amministrativa».

La funzione della Blockchain sarebbe, pertanto, quella di dare valore giuridico incontestabile al documento informatico, sia a livello sostanziale sia a fini probatori.

Lo scopo, perseguito dagli ordinamenti giuridici mondiali al fine di rendere più efficiente ed efficace l’attività amministrativa, può essere conseguito solamente dagli ordinamenti stessi attraverso idonea normazione.

Ancora, tramite lo strumento degli smart contracts, la Blockchain può essere utilizzata sia nel settore pubblico che in quello privato per la conclusione di contratti e per favorire l’automazione e l’efficienza dei processi interni di un’azienda o per l’elaborazione di registri informatici che possano garantire l’autenticità e la immodificabilità di un’informazione.

Colta, dunque, pur se sommariamente, l’importanza della Blockchain, occorre soffermarsi su come questa tecnologia venga disciplinata.

Prima di approfondire le normative europea ed italiana, è utile dare uno sguardo a come ci si rivolge alla Blockchain nel resto del mondo.

Come il mondo si pone nei confronti della Blockchain

Stati Uniti

Negli Stati Uniti occorre distinguere tra normativa federale e normativa dei singoli stati. Potrà capitare che qualche Stato sia più avanti di altri nella ricerca e nella normazione in materia Blockchain.

A livello federale vige il principio generale e inderogabile, sancito già nel 2000 attraverso l’Electronic Signatures in Global and National Commerce Act (ESIGN), secondo il quale alle sottoscrizioni, ai contratti o a qualsiasi operazione commerciale interna o internazionale non possono essere negati efficacia, validità ed esecutività unicamente perché in forma elettronica.

A distanza di quasi venti anni si è cercato di introdurre una disciplina più specificamente riferita alla tecnologia Blockchain.

In particolare, il 14 gennaio 2019 il repubblicano Tom Emmer ha proposto il Congressional Bill n. 528 con il nome di Blockchain Regulatory Certainty Act.

Il progetto di legge, in discussione presso la Sottocommissione in materia di Corti, proprietà intellettuale e Internet, si propone di fornire «a safe harbor from licensing and registration for certain non-controlling blockchain developers and providers of blockchain services».

In particolare, il testo prevede che a nessuno sviluppatore o prestatore di servizi basati su tecnologia Blockchain potrà essere attribuita la qualifica di trasferente moneta, operatore di servizi monetari, istituzione finanziaria o qualsiasi altra qualifica che preveda il possesso di una licenza o autorizzazione (sia a livello statale che federale), a condizione che lo stesso sviluppatore o prestatore non abbia anche il controllo della moneta digitale associata alla Blockchain in questione.

Nel corso dello stesso anno, il 9 aprile del 2019 è stato proposto anche il Congressional Bill n. 2144 denominato Token Taxonomy Act of 2019.

Questo si propone di modificare il Securities Act del 1933 e il Securities Exchange Act del 1934 al fine di escludere i c.d. digital tokens dalla definizione di strumenti finanziari, dedicando loro una specifica definizione.

Come può vedersi, a livello federale la normazione è concentrata specificamente sull’uso finanziario della tecnologia Blockchain, affidando, per ora, ai singoli Stati l’iniziativa per regolarne l’utilizzo per scopi non finanziari.

…a livello locale?

A livello locale gli Stati, anziché dedicare alla tecnologia a registri distribuiti un’apposita disciplina, hanno preferito procedere alla modifica di corpi legislativi preesistenti.

Non a torto, ciò che hanno fatto è stato riconoscere validità giuridica anche a documenti informatici sottoscritti elettronicamente.

In particolare, in 47 Stati già è vigente lo Uniform Electronic Transaction Act (U.E.T.A.) del 1999, che ha previsto che « (a) a record or signature may not be denied legal effect or enforceability solely because it is in electronic form; (b) a contract may not be denied legal effect or enforceability solely because an electronic record was used in its formation; (c) if a law requires a record to be in writing, an electronic record satisfies the law; and (d) if a law requires a signature, an electronic signature satisfies the law».

Ricorda quanto già più sopra detto parlando dell’E.S.I.G.N. del 2000, che permette, essendo legge federale, di creare una disciplina uniforme e valida anche per quei paesi che non hanno aderito all’U.E.T.A. del 1999.

I singoli Stati americani hanno, poi, fatto in modo da estendere le discipline U.E.T.A. ed E.S.I.G.N. anche ai documenti e alle firme generati e registrati per mezzo di tecnologie operanti su registri distribuiti.

Allo scopo, tuttavia, di elaborare una disciplina propria della Blockchain, molti Stati hanno istituito task forces o gruppi di lavoro con la funzione di riferire in merito a rischi, vantaggi, svantaggi e possibili utilizzi della tecnologia.

Già a livello federale si è operato nello stesso senso con il Blockchain Promotion Act of 2019 che ha previsto l’istituzione di un Blockchain Working Group. L’obiettivo è quello di elaborare uno studio da presentare al Congresso che fornisca una definizione della tecnologia basata su protocolli a registri distribuiti, comunemente indicata come tecnologia Blockchain, e altre raccomandazioni specifiche ad essa correlate.

Nulla di più, però, si è fatto fino ad ora.

Cosa si è fatto per gli Smart Contracts?

Come detto, è rimessa all’iniziativa dei singoli Stati la disciplina di qualsiasi uso non finanziario della Blockchain.

In merito agli smart contracts è da ricordare che già negli scorsi anni Stati come Arizona, Tennessee o North Dakota hanno adottato atti legislativi volti a riconoscere la validità giuridica di atti e documenti informatici contenenti informazioni commerciali conservati mediante tecnologie d.l.t. Conservazione che non priva il titolare della proprietà o del diritto di utilizzo di quelle informazioni a meno che non sia espressamente previsto nella transazione posta in essere per l’archiviazione stessa.

Queste norme sono via via state estese a diverse forme contrattuali come contratti di compravendita, leasing e documenti di trasporto, fino a toccare anche il diritto societario. In tale ambito si prevede espressamente che il requisito della forma scritta è soddisfatto anche dai documenti archiviati mediante l’utilizzo della tecnologia Blockchain.

Infine, il 1° gennaio 2020 nello stato dell’Illinois è entrato in vigore il Blockchain technology Act, che introduce un framework normativo per l’uso della tecnologia Blockchain e degli smart contracts. In particolare, essa prevede che gli smart contracts hanno piena validità legale, così come i documenti informatici e le firme elettroniche ad essi apposte.

La legislazione pone infine le condizioni per cui agli smart contracts non possa essere negata validità legale, che sia sostanziale o probatoria in un eventuale procedimento giudiziale, per il solo fatto che alla loro base vi è la Blockchain.

Cina

Il Governo cinese negli ultimi anni ha adottato una linea repressiva nei confronti delle attività finanziarie basate sulla Blockchain.

In particolare, con un comunicato dell’ 8 settembre 2017 proveniente da Banca centrale, Ministero dell’industria, Commissioni per la regolazione del sistema bancario e finanziario e Agenzia per il commercio e per l’industria, queste sono state dichiarate illegali e, pertanto, si sono interrotte le attività di exchange di criptovalute e quelle di fundraising attraverso la c.d. .I.c.o. (Initial coin offering), perché, oltre a consistere in attività speculative, possono spesso rappresentare anche attività finanziarie illegali. Attività che hanno perturbato e perturbano l’ordine economico e finanziario cinesi.

Al contrario, il Governo cinese si è mostrato aperto allo sfruttamento della tecnologia Blockchain per finalità differenti da quelle meramente finanziarie.

Per quanto attiene all’utilizzo della tecnologia per la validazione di documenti informatici, il 3 settembre del 2018, la Suprema Corte del popolo della Repubblica popolare cinese ha fornito un’interpretazione della legge n. 16/2018 che istituisce i c.d. Tribunali di internet. In particolare, si è affermata l’ammissibilità in giudizio di informazioni generate e conservate mediante la tecnologia Blockchain.

Quest’anno, ad aprile 2020, la Cina ha, poi, dato vita e lanciato il Blockchain-based Service Network (B.S.N.) per porsi prepotentemente sul “mercato” della Blockchain e cercare di diventare leader nel settore.

Il white paper di B.S.N. specifica che questa consiste in una rete infrastrutturale globale basata su una consortium blockchain technology (dove sono diverse organizzazioni a gestire la Blockchain) e su

consensus trust mechanisms.

Lo scopo di B.S.N. è quello di fornire a tutti coloro che vogliano sviluppare progetti basati sulla Blockchain gli strumenti necessari, riducendo gli elevati costi che altrimenti dovrebbero sostenere. Questo al fine di accelerare lo sviluppo e l’applicazione universale della tecnologia Blockchain.

Vi è da ricordare che la Cina punta al controllo della tecnologia. Nel white paper si legge che «once the BSN is deployed globally, it will become the only global infrastructure network autonomously innovated by Chinese entities and for which network access is Chinese-controlled».

Smart Contracts

Per quanto attiene più specificamente agli smart contracts la Cina si tiene ancora su una linea prudente e ad oggi non risulta in vigore alcuna regolamentazione specifica.

Vi è da dire che l’iniziativa proviene dalle grandi compagnie cinesi come Alibaba o JD che già fanno uso di smart contracts nell’esercizio della loro attività.

Partendo dalla propria esperienza, la compagnia JD sta attualmente collaborando con il Governo cinese per l’elaborazione di una bozza regolamentare degli smart contracts sia dal punto di vista sostanziale (disciplina del loro utilizzo per automatizzare l’esecuzione dei contratti) sia dal punto di vista processuale (utilizzo degli smart contracts come prova dell’esistenza di un contratto).

La Blockchain, il documento elettronico e la firma digitale in Europa

In Europa si parla di Blockchain da diversi anni, anche qui sia in senso finanziario (scambio di criptovalute) sia per utilizzi non finanziari della tecnologia.

Punto di partenza per il riconoscimento della Blockchain in ambito europeo è il Reg. n. 910 del 23.7.2014, c.d.  regolamento eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature).

L’intento del legislatore è quello di «rafforzare la fiducia nelle transazioni elettroniche nel mercato interno fornendo una base comune per interazioni elettroniche sicure fra cittadini, imprese e autorità pubbliche, in modo da migliorare l’efficacia dei servizi elettronici pubblici e privati, nonché dell’eBusiness e del commercio elettronico, nell’Unione europea».

Il documento è ricco di definizioni che permettono di comprendere se la Blockchain, mai citata con questo nome, possa farsi rientrare tra le tecnologie da esso annoverate.

In particolare, l’art. 3, n. 35, del reg. eIDAS, definisce il “documento elettronico” come «qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva».

Sulla base della definizione del documento elettronico fornita all’art. 3, lo stesso regolamento specifica all’art. 46, rubricato “effetti giuridici dei documenti elettronici”, che «a un documento elettronico non sono negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali

per il solo motivo della sua forma elettronica», richiamando, se ben si ricorda, i provvedimenti federali adottati negli Stati Uniti agli inizi dell’anno 2000.

Se tanto potrebbe bastare per “validare” la Blockchain come mezzo di autenticazione e conservazione giuridicamente riconosciuto di documenti elettronici, occorre, però considerare un altro aspetto.

Quello della riconducibilità di un’operazione realizzata mediante un protocollo d.l.t. inequivocabilmente ad uno specifico soggetto.

Occorre, pertanto, ritornare alle definizioni contenute nell’art. 3 del regolamento eIDAS del 2014.

Questo distingue tra tre tipologie di “firma elettronica”:

  • firma elettronica “semplice” consistente in «dati in forma elettronica, acclusi oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici e utilizzati dal firmatario per firmare»;
  • firma elettronica avanzata, cioè «una firma elettronica che soddisfi i requisiti di cui all’articolo 26» (connessa unicamente al firmatario, idonea a identificarlo il firmatario, creata mediante dati per la creazione di una firma elettronica su cui il firmatario conserva un controllo esclusivo e collegata ai dati sottoscritti in modo da consentire l’identificazione di loro successiva modifica);
  • firma elettronica qualificata, cioè «una firma elettronica avanzata creata da un dispositivo per la creazione di una firma elettronica qualificata e basata su un certificato qualificato per firme elettroniche», c.d token. Elemento da tenere in considerazione per la firma elettronica qualificata è il fatto che sia basata su un certificato qualificato per firme elettroniche che è rilasciato da un prestatore di servizi fiduciari qualificato.

Come visto per il documento elettronico, anche per la firma elettronica il regolamento si preoccupa di specificarne, all’art. 25, gli effetti giuridici stabilendo, al comma 1 che «a una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate». Fin qui, dunque, nulla osterebbe al riconoscimento di effetti giuridici anche a documenti elettronici prodotti e conservati per mezzo di protocolli d.l.t.

Ostativo oltre che contraddittorio è, però, il comma 2 della stessa norma.

Questo recita che «una firma elettronica qualificata ha effetti giuridici equivalenti a quelli di una firma autografa».

Ciò vuol dire che non tutti i documenti elettronici sono concretamente giuridicamente validi e ammissibili come prove in procedimenti giudiziari, ma solo quelli sottoscritti mediante firma elettronica qualificata.

Più sopra si era evidenziato che la firma elettronica qualificata necessita di un prestatore di servizi fiduciari qualificato che rilasci un certificato qualificato senza il quale la firma elettronica non potrebbe funzionare.

La Blockchain risulta così automaticamente esclusa vista la sua intrinseca incompatibilità con la necessità di un soggetto prestatore di servizi fiduciari qualificati che si inserisca nel processo di validazione tramite firma elettronica.

Le informazioni così generate o conservate mediante protocolli d.l.t., non rispettando il regolamento, non possono essere che considerate alla stregua di mere prove liberamente valutabili in giudizio.

La contraddittorietà così evidenziata è stata, forse, dovuta ad una ancora parziale mancanza di conoscenza della tecnologia Blockchain e, dunque, non voluta.

A distanza di anni, tuttavia, nonostante di tale tecnologia si parli costantemente, ancora nessuno pare essersi accorto dell’impasse oppure si attendono norme ad essa dedicate.

Documento elettronico e Firma elettronica

Parallelamente alla disciplina europea del documento elettronico e della firma elettronicaa (regolamento eIDas), si pone la disciplina italiana di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, c.d. “Codice dell’amministrazione digitale”.

Come fatto in precedenza occorre iniziare l’analisi della disciplina italiana dalle definizioni.

L’art. 1 del decreto, alle lettere p), p-bis) e s), definisce il documento informatico, quello analogico e la firma digitale in questi termini:

  • documento informatico: il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti;
  • documento analogico: la rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti;
  • firma digitale: un particolare tipo di firma qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare di firma elettronica tramite la chiave privata e a un soggetto terzo tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.

Per quanto attiene, anche qui, all’efficacia del documento informatico, il C.a.d. opera una distinzione tra documento informatico firmato digitalmente e quello non firmato.

L’art. 20, co. 1-bis, prevede la prima ipotesi, stabilendo che: «il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID…».

Lo stesso art. 20, co. 1-bis, continua, poi, stabilendo che «in tutti gli altri casi [cioè nei casi del documento informatico non firmato], l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità». Il documento informatico non firmato ricade, pertanto, nell’ambito di applicazione di cui all’art. 2712 del cod. civ., facendo, dunque, piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, salvo disconoscimento dell’interessato.

Come può vedersi dalla definizione fornita dal c.a.d., l’apposizione della firma digitale a un documento informatico permette di verificarne la provenienza e l’integrità, ma non anche di cristallizzare e certificare che la firma sia stata apposta in un dato momento.

Per farlo sarà, infatti, necessario associare alla firma una “marca temporale” (ad es. m7m) oppure si potrà spedire il documento mediante posta elettronica certificata (p.e.c.) valida, come già viene fatto per il deposito dei documenti nell’ambito del processo civile telematico.

La Blockchain italiana: una storia in sospeso

Dopo la necessaria premessa sul documento informatico e sulla firma digitale, si può procedere ad affrontare il discorso sulla tecnologia Blockchain.

Si vedrà come questa possa essere una valida e più efficiente alternativa alle tecnologie ad oggi utilizzate per la validazione di documenti informatici.

Si vedrà anche la disciplina che l’Ordinamento italiano ha ad essa riservato, lasciandola al contempo in un “limbo” di genericità disciplinare.

Come visto e più volte ripetuto, la Blockchain permette, nel suo uso non finanziario, di creare documenti informatici che garantiscono con un’elevata sicurezza l’incorrutibilità, l’autenticità e la provenienza dei documenti stessi.

Come si garantisce la sicurezza delle operazioni descritte?

Oltre quanto definito dalla norma, nulla di più si dice sulla tecnologia Blockchain né sugli smart contracts, rinviando, ai sensi del co. 1, n.  2, e del co. 4, all’elaborazione di standard tecnici da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, che permettano il riconoscimento di validità giuridica dei documenti informatici creati e archiviati.

I novanta giorni sono passati, ma le linee guida ancora sono in fase di gestazione.

Come si garantisce la sicurezza delle operazioni descritte?
Attraverso due strumenti:
1) il c.d. hashing;
2) la firma digitale.
Il primo elemento è quello che genera la catena. Ogni blocco è, infatti, legato a quello precedente da una stringa di numeri e lettere denominata hash.
Il codice hash contiene tutte le informazioni di un blocco e viene inserito anche nel blocco successivo (c.d. pointer perché punta sempre al blocco precedente). L’hash di quest’ultimo verrà determinato non solo sulla base delle nuove informazioni, ma anche sulla base dell’hash del blocco precedente.
Questo meccanismo determina l’immutabilità delle informazioni. Ogni volta che si prova a cambiare, seppur minimamente, l’informazione contenuta in un blocco, si genera una reazione di modifiche a catena nei successivi blocchi.
La firma digitale è il secondo elemento che aggiunge sicurezza alla Blockchain, facendo uso della c.d. crittografia asimmetrica.
Ogni transazione viene, infatti, firmata dal richiedente attraverso la sua chiave privata e decifrata dal destinatario usando la chiave pubblica corrispondente.
Questo processo assicura che la transazione sia effettuata da un soggetto certamente identificato come il proprietario dell’account utilizzato per immettere l’ordine di esecuzione e, dunque, ne garantisce l’autenticità.
Se, però, fosse solo questo, la Blockchain non sarebbe altro che l’ennesimo database protetto da crittografia, anche se forse tra i più sicuri.
Il protocollo d.l.t. assicura una maggiore sicurezza per il fatto che questo prevede la remunerazione di chi è chiamato a validare le operazioni che si effettuano sulla Blockchain stessa.
La remunerazione avviene attraverso le criptovalute e l’esempio più diffuso è quello dei Bitcoin.
Senza la remunerazione il sistema a registri distribuiti non funziona.
La normativa italiana in tema di d.l.t., però, non se ne occupa.
Questa è contenuta nel d.l. 14.12.2018, n. 135, convertito dalla l. 11.2.2019, n. 12, che fornisce all’art. 8-ter, le seguenti definizioni:
• “tecnologie basate su registri distribuiti”, cioè «le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili»;
• “smart contract“, cioè «un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Oltre quanto definito dalla norma, nulla di più si dice sulla tecnologia Blockchain né sugli smart contracts, rinviando, ai sensi del co. 1, n. 2, e del co. 4, all’elaborazione, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto, di standard tecnici da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, che permettano il riconoscimento di validità giuridica dei documenti informatici creati e archiviati.
I novanta giorni sono passati, ma le linee guida ancora sono in fase di gestazione.

In conclusione

Con buona probabilità la Blockchain, intesa come tecnologia, affrancata da qualsiasi applicazione pratica, sarà la nuova rivoluzione, come lo è stato internet.
Occorre ancora comprendere la sua reale applicabilità ai vari settori della vita quotidiana. Quelli che si stanno conducendo oggi sono esperimenti che cercano di identificare l’utilità stessa della tecnologia.
Gli ordinamenti giuridici mondiali, si è visto, tentano di anticipare i tempi e di elaborare normative che permettano di implementarne l’uso.
Nulla è, però, ancora definito.
Non si ritiene possa parlarsi di inerzia dei governi mondiali, ma, piuttosto, di una difficoltà nel dipanare una matassa di problematiche tecniche e giuridiche che fino ad ora non erano nemmeno immaginabili.
Si pensi al profilo fiscale connesso con la remunerazione derivante dall’uso della Blockchain.
Ma, prima ancora, si pensi alla natura giuridica delle criptovalute, sulla quale si discute poco.
Si sono visti i problemi testuali del Regolamento europeo c.d. eIDas, che se da un lato sembra riconoscere la tecnologia a registri distribuiti come una valida ed efficace alternativa al documento analogico sottoscritto dal titolare, dall’altro la riduce, sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo probatorio, a tecnologia di “seconda categoria”.
Ciò che è irrazionale se si pensa che, ad esempio, la Blockchain su cui funziona il Bitcoin è un sistema dal livello OP/SEC (operational security) elevatissimo. Questo è un processo che consente di guardare sé stessi dal punto di vista dell’avversario in modo da selezionare e negare al potenziale avversario tutte le informazioni che potrebbero indebolire il sistema stesso.
Il primo elemento di debolezza è costituito dall’inventore stesso del Bitcoin. Tanto è che ad oggi ancora non si capisce se il famoso Satoshi Nakamoto sia un nome di fantasia dietro il quale si cela una persona sola o un gruppo di informatici.
La tecnologia è là, libera e accessibile a tutti, ma forse ancora non se ne coglie appieno la vera utilità.
In molti ancora sanno a malapena cosa sia la Blockchain e molti altri si interrogano sulle sue applicazioni, ma in futuro ci interrogheremo su come la società sia riuscita a funzionare fino ad ora senza di essa.
Dall’internet of things, che ci ha fornito un nuovo modo di creare e condividere informazioni, la Blockchain ci sta fornendo il nuovo internet of values, presentandoci nuovi modi di trasferimento di valori, un nuovo concetto di valore stesso e nuove forme di fiducia.

Per approfondire:

1. Stati Uniti:

2.  Cina:

3. Italia ed Europa:

  • “Blockchain e Smart Contract” di Raffaele Battaglini, Marco Tullio Giordano (pagine XXVI – 598);
  • From Farm to Fork – la blockchain e l’etichettatura intelligente”, tesi di master dell’Avv. Luca Amorelli;
Scritto da
Contributore
Avv. Luca Amorelli, laureato in giurisprudenza presso l’Università L.U.I.S.S. “Guido Carli†di Roma nel 2015. La sua formazione e competenza professionale è rivolta alle tematiche concernenti le obbligazioni, i contratti, i beni pubblici e privati, il funzionamento dei servizi pubblici e, più in generale, le posizioni soggettive dei cittadini utenti. Con un'attenzione sempre crescente per il mondo della Blockchain e degli Smart contracts, nel 2020 ha completato presso l'Università L.U.I.S.S. il Master di II livello in diritto della concorrenza e dell'innovazione. Nel settore delle nuove tecnologie l'Avv. Amorelli è specializzato nel diritto applicato o applicabile alla Blockchain e agli Smart contracts. Si occupa, inoltre, dei profili giuridici, fiscali ed economici legati all'uso e alla conservazione di criptovalute.

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